Floriano de Santi

I.
Nel romanzo epistolare Iperione o l’eremita in Grecia Holderlin (1) scopre l’eraclitea hen diaeautoi, l’uno diverso in se stesso. La visibià del mondo, proposta dalla vista, individua un margine che solo una “seconda vista- potrà attrasecondo il poeta tedesco, il corpo si rivela unicamente se, insieme, si nasconde. È l’occultarsi dell’epifanico nell’esistente: l’inevitabile limite, e tuttavia la possibilità della rivelazione, in uno sproche è mimesi, correlazione con la materia proprio nel farsi materia del pensiero. Una tale consapevolezza del rapporto illusione-realtà, della proiezione del fare in una precisa tradizione empirico-antropologica è, nella produzione scultodi Roberto Rocchi, il topos di tutte le trasformae di tutte le similitudini. Con la sua discordia concors, con i suoi frammenti anatomici, il giovane artista toscano designa un lavoro tridimensionale che si fa soglia, limen, si fa – in una parola – spazio intermedio tra l’essere e non essere, là dove, per ritornare ad Holderlin, il possibile diventa ovunque reale.
Allievo nell’Accademia di Belle Arti di Carrara di Floriano Bodini, ma insieme dotato di una origià che dimostra “quanto l’insegnamento del suo maestro” sia “libero e creativo” M, Rocchi sin dalappalesa una capacità dissolvente di forma-non forma entro il recinto della cultura classica. Due sono i vasti territori concettuali a essere esplicitamente richiamati dall’artista, due territori che sono di vitale importanza per la sua Weltanda un canto l’imitazione degli antichi come tensione etico-estetica, senza che questa si risolva in una fede particolare cristallizzata in cerdall’altro canto la “visione suggestiva e comdi un momento di intimità pensosa” (3), e il ruolo che essa può assumere come disvelamento di una verità fenomenica essenziale: alatheia la quale disvelando, mai potrebbe concedere di esaurire o risolvere il disvelato. In effetti – da Ragazza in poldell’84 a Ritratto del padre dell’85 e a Uomo, Libro, Cavallo del 1990 – il modularsi del bronzo o del marmo è un rivelarsi della verità della cosa.
Questa cadenza linguistica non è da intendecome l’esito, il risultato finale di una piatta mateà, perché il suo essere Lichtung, radura della testa o slargo improvviso e luminoso del torso, non sarebbe possibile se la materia stessa che compol’opera non entrasse nell’apertura disvelante. Se la scultura di Rocchi, in primis quella realizzata dal apparenza, completa negazione. Diciamo in apparenza in quanto se Rocchi assume l’archetipo classico quale suo segreto modello espressivo, ciò non avviene per uno slancio metafisico verso la trascen denza, verso l’iperuranica e separata fissità dei pensieri, ma per un’intuizione fenomenologica, orizzontale e immanente, che Carlo Diano intravede nella filosofia greca. Per lo studioso la forma è, per eccellenza, l’”eidos di Platone e Aristotele”: “ciò che la caratterizza è l’autòtes, l’essere per sé. Essa sola è kath’autò e quello che è lo è in se stessa e per se stessa” (5). E quasi dire che nei bronzi Uomo e virtù del 1991 e Torso virile dell’anno seguente di Rocchi l’opaco accadere della vita fronteggia la cristallina trasparenza degli intelligibili.

II.A cominciare da Torso di donna con foglia riposta posta del 1993, poi da Il sogno e dall’Angelo e il castello del 1994, l’endiade dianesca di forma ed evento costituisce per Rocchi – come si può facilriconoscere – una semplice variazione, sapientemente riformulata filologicamente dalla famosa coppia nietzschiana di apollineo e dionisiaAlle due divinità artistiche di Apollo e di Dionisio, scrive Nietzsche, “si riallaccia la nostra conoscendel fatto che nel mondo greco sussiste un enorcontrasto, per origini e per fini, fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso- (6). Al mondo luminoso delle forme si oppone quello tenebroso degli evenche il nostro artista intende come l’immediatezdel “racconto”.
Da queste sculture, nelle quali va riaccertanla memoria di un antico sapere che la mímesis dell’apparenza è capace di generare solo in un’imillusoria e fallace [7), Rocchi passa alla readi un gruppo di lavori come Testa incorocon drappo rosso del 1995, Ludici equilibri del 1997 e La coppia del 1998, in cui assume su di sé, sulla propria indagine plastica, la consapevole responsabilità della rottura con le esperienze artidel più recente postmoderno. Rivisitando il pensiero dello scrittore di Così parlò Zarathustra e di Al di là del bene e del male, con un ardimentoso trapasso dal piano dell’autoreferenzialità concetsino a quello di una esibita referenzialità metaforica, egli sa che la questione intorno a cui ruotano i tentativi di categorizzazione dell’empeirìa greca è, in fondo, la stessa, vale a dire il superadella classicità intesa come isolamento, fisà e rigida separazione della classicità intesa come isolamento, fissità e rigida separazione della forma, ossia della classicità come paradigma noraffermantesi nella prospettiva nostalgico-monumentale di un certo gusto neo-classico che, in verità, nonostante il tentativo di alcuni critici, non potrebbe essere più lontano dalle intenzioni dell’ar[81].
Al pari di Adam, di Moore e del nostro Alberto Viani, ciò che affascina Rocchi non è, infatti, l’autodella forma dall’evento, quella separazione, quel chorismós – croce e delizia di ogni filosofia neoplatonica in cui, puntualizza Diano, -c’è la morte,o di una delle due categorie o dell’uomo” M -, ma la soglia, il chòra del loro rapporto, l’esplorazione del limite in cui la forma partecipa del racconto per immagini e, in questa sua partecipazione, giunge in qualche modo a rendere visibile il contatto (10). È un valore tattile, una visibilità che è sempre liminare, ma che Rocchi in Configurazione femminile iscritta in un quadrato del 1998, in Pube con uovo del 2001 e in Omaggio a Piero del 2002 azzarda, con un’especulativa che appartiene alla tradizione della più alta meditazione dell’antico inerente il corpo umano come equilibrio antropometrico, in grado di identificare il luogo della forma, ossia la sua materia prima percettibile, con quella forma corporea che non è nient’altro che il segno dell’ádella luce, del suo illimite.
Una simile Luce-Aiòn, che si sprigiona talvolda un punto di vista obliquo (Sospensione del 2003) e talaltra da un punto di vista centrale (Contrappeso ed Equilibrio, entrambe di quest’ansi propaga istantaneamente nell’infinito dello spazio e, insieme, ne misura il tempo, perché nelle opere ultime di Rocchi il tempus è scontato nellaforma, incistato in quella, non più obbligato a mania rendersi visibile, concreto in dinamica, in movimento iconico. Là dove Calder concepisce il destino della forma come polverizzazione, quasi aderendo a una sorta di newtoniana teoria corpudella luce che spinge l’artista a registrare la frammentazione del cosmo, a registrare il suo sterminio e la sua riproduzione in apparenze fugaRocchi concepisce la scultura come flusso: un’onda, un irraggiamento perenne ma istantaneo, secondo il preciso dettato della metafisica di una luce infinita, che riconduce quasi sempre la forma all’insorgenza della sua origine.

Floriano De Santi

NOTE
(1) A cura di G. Scimonello, Studio Tesi, Pordenone, 1989. Su questo libro ha scritto pagine Illuminanti J. Beaufret, Holderlin et Sophocle, in F. Holderlin, Remarques sur Oedipe – Remarques sur Antigone, a cura di F. Fédier,UGE, Paris, 1965.
(2) Antonello Trombadori, Sono giovani, ma saranno famosi?, in I'”Europeo-, Roma, 15 marzo 1986.
(3) Relazione della Commissione Giudicatrice composta da Umberto Baldini, Tommaso Paloscia, Carlo L. RagghianPier Carlo Santini, Antonello Trombadori, in Premi Banca Mercantile 1985 per i giovani artisti italiani, catadella mostra di Palazzo Strozzi, Firenze 21-28 feb1986, p. 13.
(4) La definizione di M. Heidegger si richiama volutamente ad un noto frammento di Eraclito; essa è stata pubblicain Der Ursprung des Kunstwerkes, apparsa in “Holzwege” nel 1950. La traduzione italiana, Sentieri interrotti, è di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze, 1968.
(5)Forma ed evento, Marsilio Editori, Venezia, 1993, p. 75.
(6) F Nietzsche, La nascita della tragedia, a cura di S. Giametta, in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 1977, vol. III, p. 21.
(7) Flavio Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, trad. italiana a cura di D. Del Corno, Adelphi, Milano 1978, p. 283.
(8) “Quanto alla cultura visiva, ossia all’assimilazione più o meno filtrata di modelli dall’immenso deposito della scultura occidentale, c’è da dire che Rocchi si rivela provveduto e anzi addirittura intrigante, per la disinvolcon cui si muove tra le sue fonti, miscelando o sovrapponendo tipologie stilistiche eteronome, con una netta predominanza di quelle gotiche, sulle quali innedi volta in volta, più specifiche suggestioni. Peresempio da Wildt nella foglia in Torso di donna con foglia riposta (1993) ; da Manzù nel brano di panneggio di Donna con drappo 11993), citazioni fatte con piena consapevolezza della loro funzione di frammenti iconografitestimoniali del nostro secolo, allo stesso modo in cui lo sono delle epoche antiche la Testa di cavallo 11991) evidentemente esemplata al celebre prototipo di Fidia del frontone orientale del Partenone, o le protomi che in L’angelo e il castello (1994) rimandano a mille prece-denti romanico-gotici reperibili nelle cattedrali e negli edifici medioevali, qui richiamati anche dall’aspetto squiaraldico della scultura profilata nella lastra di travertino (Nicola Micieli, Roberto Rocchi La Maschera e il Corpo, presentazione al catalogo della mostra nell’Azienda di Promozione Turistica di Marina di Massa, 30 agosto-8 settembre 1994).
(9) Carlo Diano, op. cit., p. 77
(10) Sulla centralità della “soglia” nella cultura contemporasi veda L. Brisson, Le méme et l’autre dans la strucontologique du Timée de Platon, Klincksieck, Paris, 1979; F. Rella, Le soglie dell’ombra. Riflessioni sul misteFeltrinelli, Milano, 1994; J. Derrida, Chòra, in Il segredel nome, Jaca Book, Milano, 1997; F. De Santi, Sulla soglia della scultura, Edizioni Caleidoscopio, Pisa, 2001.